domenica 29 marzo 2015

La vaccinazione universale per l' influenza in una società responsabile e matura


Articolo dedicato al compianto prof.Bartolozzi, grande sostenitore della vaccinazione universale



Le vaccinazioni rappresentano una delle maggiori conquiste del passato e una grande opportunità per il presente, anche se oggi sono minate da una disaffezione crescente nei loro confronti  a causa delle voci tendenziose che puntano a sminuirne la portata, alimentate dalla rete e sostenute da personaggi dal dubbio profilo. Ma se le nostre ultime generazioni sono al riparo da rischi importanti per la salute e hanno prospettive di vita molto migliori rispetto ad un passato non molto lontano, questo lo dobbiamo proprio alle campagne di vaccinazione che nel corso degli ultimi 200 anni hanno permesso di debellare o di limitare in maniera drastica malattie che un tempo avevano pesanti ricadute sulla popolazione. La vaccinazione rappresenta un atto di tutela della salute dell’ individuo ma anche di responsabilità sociale, perché ogni soggetto vaccinato entra a far parte di una rete che è in grado di proteggere non solo le persone che si vaccinano, ma anche quelle che non possono  o non vogliono vaccinarsi o le persone più deboli su cui l’ efficacia del vaccino può essere minore. Tanto più fitta sarà questa rete tanto più forte sarà l’ azione di scudo che potrà svolgere.

Con un sufficientemente alto livello di copertura vaccinale è possibile arrivare alla completa eradicazione di malattie con ricadute importanti sulla salute, ma perché questo avvenga devono essere soddisfatte determinate condizioni. Innanzitutto è necessario che l’ uomo sia l’ unico serbatoio e che l’ immunità fornita dall’ infezione naturale e/o dal vaccino sia permanente. Inoltre l’ agente eziologico deve essere geneticamente stabile e il vaccino deve avere un’ alta efficacia. I virus della poliomielite e della difterite sono stati debellati, almeno nei paesi occidentali, proprio grazie al fatto di rispondere a questi requisiti e alle ampie campagne di vaccinazione che sono state messe in atto fin dagli anni 50. L’ adesione è stata fin da subito massiccia, grazie alla immediata percezione della pericolosità dei germi coinvolti. Un risultato analogo si punta ad ottenerlo oggi  per il morbillo, ma ad ostacolarne il raggiungimento si frappone una non così convinta determinazione della popolazione e l’ alto livello di copertura vaccinale richiesto, pari almeno al 95% della popolazione. La copertura vaccinale deve essere tanto più alta, quanto maggiore è la contagiosità del virus.
Questa viene espressa da un indice denominato Rzero, che esprime quanti soggetti in media possono contrarre l’ infezione da un individuo malato. Mentre la poliomielite e la difterite hanno un valore di 5-6, il morbillo ha un valore di 18. Il livello di copertura che può garantire l’ eradicazione di una malattia è dato dalla differenza tra 1 e 1 fratto Rzero (1-1/Rzero), da cui si ricava una percentuale del 95% per il morbillo e dell’ 80-85%  per la poliomielite e la difterite.

Anche l’ influenza comporta un notevole impatto sulla popolazione in termini di costi umani, sanitari e sociali di cui esiste ormai ampia documentazione ma purtroppo non altrettanta consapevolezza, almeno nell’ opinione pubblica della maggior parte dei paesi, compresa quella italiana. Si è soliti considerarla una malattia banale ( spesso il termine influenza è associato a quadri poco rilevanti nell’ ambito giornalistico) e tutt’al più un problema solo per persone molto anziane o fragili. Questi atteggiamenti si sono rinforzati dopo l’ avvento del virus pandemico nel 2009, quando l’ informazione ufficiale ha cercato di minimizzare i rischi potenziali, nonostante si impegnasse a sostenere una campagna di vaccinazione senza precedenti, con conseguenze devastanti nei confronti della credibilità delle istituzioni e delle campagne preventive da queste promosse. Il calo preoccupante che si è registrato nelle coperture vaccinali degli ultimi anni ( non solo per l’ influenza) è in parte da attribuire a questa gestione sconsiderata. Al contrario, nei paesi in cui esiste una letteratura e una cultura ormai consolidate, l’ influenza rappresenta una priorità nell’ agenda degli interventi sanitari, con impiego ingente di risorse e ampia adesione della popolazione alle campagne preventive. Nei primi paesi la vaccinazione viene proposta solo alle categorie più deboli, mentre nei secondi l’ offerta è universale, dai bambini a partire dall’ età di 6 mesi fino agli anziani.

Purtroppo, qualunque sia la strategia di lotta messa in atto, non sarà mai possibile arrivare al traguardo dell’ eradicazione della malattia, almeno non con i vaccini attuali. Nonostante il virus influenzale abbia un indice di contagiosità (Rzero) molto basso, pari a 2, in base al quale basterebbe una copertura del 50% della popolazione, il genoma influenzale subisce costanti variazioni, sia per intrinseca capacità di sfuggire alle nostre difese sia perché può ricevere nuovi innesti dagli ampi serbatoi animali presenti in natura. Inoltre gli attuali vaccini, pur vantando ottimi risultati negli studi preclinici, non sono stati in grado di confermarli anche nelle verifiche sul campo. Negli anni in cui la corrispondenza tra i ceppi presenti nel vaccino e quelli effettivamente circolanti è buona, l’ efficacia arriva al massimo al 70% per scendere a livelli molto bassi quando questa corrispondenza non c’ è. Come abbiamo discusso nel precedente articolo, i vaccini attuali sono il prodotto di una tecnologia che sopravvive praticamente immutata da quasi 80 anni e non hanno saputo approfittare delle nuove acquisizioni in campo biotecnologico. Le ultime meta-analisi hanno inoltre messo a nudo tutti i limiti delle attuali strategie di vaccinazione, incentrate sulla protezione dei soli soggetti a rischio, come gli anziani e i soggetti con sistema immunitario più debole. Gli anziani sono storicamente indicati come il gruppo a più alto rischio e sono il principale target delle campagne di immunizzazione, ma gli studi sull’ impatto delle attuali campagne sia negli USA che in Italia non hanno mostrato nessun beneficio nonostante un aumento nel corso degli anni della percentuale dei vaccinati, contraddicendo gli apparenti buoni risultati degli studi di tipo osservazionale. Nel 2006 Jackson e al hanno messo in luce significativi bias  di questi studi, legati al fatto che gli anziani che si vaccinano sono avvantaggiati da un migliore stato di salute e da una maggiore mobilità. Uno studio appena uscito per mano di esperti della CDC di Atlanta ha rivelato modesti effetti della vaccinazione sulla severità della malattia nel corso della stagione 2012-13, malgrado la buona corrispondenza tra ceppi in circolazione e quelli presenti nel vaccino.

Tutte queste considerazioni dovrebbero portare ad un ripensamento delle attuali strategie di vaccinazione e spingere verso una vaccinazione universale, come avviene già negli Stati Uniti e in pochi altri paesi,  il cui punto di forza è dato dalla copertura dei soggetti in età pediatrica. Infatti i bambini in età prescolare e scolare sono il serbatoio principale dell’ influenza  e da essi il virus tende a propagarsi alle altre classi di età. Hanno i tassi di attacco più elevati, una  minore osservanza di misure igieniche e sono in stretto contatto gli uni con gli altri e con i loro famigliari. Tendono anche ad avere tempi maggiori di escrezione virale nell’ ambiente, sia prima che dopo l’ inizio dei sintomi, rispetto agli adulti. L’ idea è quella che riuscendo a impedire o a limitare fortemente la circolazione del virus nella popolazione più ricettiva, si riesca a realizzare una immunità di gregge, che è quel fenomeno per cui i benefici di una vaccinazione di un numero consistente di individui si estendano anche al resto della comunità. Siccome è necessario disporre di un vaccino che sia efficace, un buon candidato in questo senso è il vaccino vivo attenuato per via nasale (LAIV) che viene somministrato negli Stati Uniti a partire dal 2003 e che si è dimostrato superiore in diversi trials rispetto ai vaccini iniettivi, oltre ad essere l’ unico in grado di proteggere nei confronti di ceppi non presenti nel vaccino.  Nelle meta-analisi citate sopra sono gli unici vaccini con buone evidenze di efficacia nel corso degli anni, in parte offuscate da un fallimento nella stagione 2013-14 nei riguardi del ceppo H1N1, ma il problema sembra essere stato individuato in un componente tremolabile  e si spera che possa essere risolto nelle prossime produzioni.

Sono diversi gli studi che dimostrano che è possibile realizzare un’ effettiva herd immunità vaccinando i bambini. 

La vaccinazione dei bambini sani


Uno dei primi è quello realizzato nel Michigan mettendo a confronto due diverse cittadine. A Tecumseh, più dell' 85% di 3159 bambini di età scolare ha ricevuto il vaccino inattivato con una maggiore protezione a livello di comunità rispetto alla località di Adrian, dove il vaccino non è stato utilizzato: un' incidenza 3 volte minore di ILI tra individui di tutte le età.


In uno studio del Maryland, il LAIV fu somministrato al 40% dei bambini di una scuola e altre due fecero da controllo. Un numero significativamente minore di visite mediche di bambini e adulti, di farmaci acquistati e di giorni di assenteismo si registrarono tra bambini e adulti di famiglie i cui bambini furono immunizzati. 
 

 A Temple-Belton, nel Texas, i bambini di età scolare di due contee furono immunizzati con Laiv e confrontati con bambini non immunizzati di tre altre contee per quanto riguarda l' incidenza di malattie respiratorie nei soggetti con più di 35 anni. Anche se il grado di copertura vaccinale non superò il 20-25%, venne documentata una protezione pari all' 8-18% degli adulti. 


La vaccinazione del 47,5% dei bambini delle scuole elementari in 28 scuole della contea di Bell, nel Texas, con una dose di LAIV ha determinato una significativa herd immunity, con una riduzione di malattie acute respiratorie in tutte le classi di età, ad eccetto di quella 12-17, nonostante che nella comunità protetta vi fosse un eccesso di ultra settantacinquenni.



Un altro studio sull' efficacia di una campagna per promuovere la vaccinazione contro l' influenza nelle scuole, a Los Angeles, rileva come nelle scuole in cui tale campagna ha avuto luogo dal 27 al 46.6% degli studenti ha ricevuto almeno una dose di vaccino, rispetto allo 0,8-4,3% delle scuole in cui il vaccino non è stato attivamente promosso. Mediante controllo con test PCR, gli studenti delle scuole partecipanti al programma hanno avuto il 30,8% in meno di infezione documentata per influenza, indipendentemente dallo stato vaccinale. Nelle scuole in cui la percentuale di vaccinati si è avvicinata al 50% si è registrata una significativa herd immunity.





Gli studi elencati sopra hanno riguardato piccole comunità, ma in Canada ne è stato compiuto uno che ha coinvolto un intero stato. Nel 2000, nell’ Ontario, è iniziata una campagna di vaccinazione universale per l' influenza rivolta a bambini di età superiore a 6 mesi, mentre  gli altri stati hanno continuato nella tradizionale offerta alle sole categorie a rischio. Nell’ Ontario il tasso di vaccinazione è cresciuto del 20% rispetto all' 11% delle altre province. Il tasso di mortalità per influenza e le richieste di assistenza per problemi collegati sono diminuite in modo significativamente maggiore  rispetto alle altre province. La campagna ha portato l' adesione alla vaccinazione dal 18% della popolazione nel 1996 al 42% nel 2005.
Analizzando i dati relativi a mortalità, ospedalizzazioni e visite al pronto soccorso tra il 1997 e il 2004, confrontandolo con quelli di tre province vicine ( Alberta, Quebec e Manitoba), si ha avuto un calo di tali eventi dal 40 al 60%. Nel dettaglio si sono registrate 34000 casi, 111 morti, 780 ospedalizzazioni e 7745 visite al pronto soccorso in meno. Il che, tradotto in soldi, ha portato ad un risparmio di 7,8 milioni di dollari ( la spesa sostenuta e' stata di 40 milioni di dollari canadesi).
Valutando la spesa in termini di anni di vita in condizioni di benessere (quality-adjusted life years (QALY) il costo sostenuto è risultato essere pari a 10,797 dollari per ogni anno. Si ritiene costo-efficace una spesa inferiore a 50 dollari per anno di vita in condizioni di benessere. 
 

Un limite di questi studi è di essere di tipo osservazionale, il che non significa che non abbiano valore, ma li espone ad un elevato rischio di errori interpretativi (bias). Un lavoro molto ingegnoso nella sua concezione, in quanto si e' riuscito ad ovviare al problema di come fare uno studio in una comunità secondo i principi della randomizzazione, è quello realizzato da Loeb nelle comunità chiuse degli Hutteriti,  i cui membri sono anabattisti fondamentalisti che vivono in colonie separate. Ogni colonia ha 60-120 persone di tutte le età. Anziché randomizzare gli individui, hanno randomizzato le colonie, vaccinando i bambini di età tra i 3 e i 15 anni in alcune contro l' influenza e in altre contro l' epatite A per poi valutare gli effetti sulla persone anziane.  Lo studio e' stato fatto parzialmente in cieco, in quanto le infermiere che somministravano il vaccino erano diverse da quelle che hanno poi fatto la valutazione degli esiti. La copertura vaccinale dell' 80% dei bambini sani in età scolare è stata capace di produrre un’ herd immunità significativa. I più anziani vengono protetti anche senza vaccinarsi.
Ovviamente le comunità chiuse degli Hutteriti sono diverse dalle più complesse comunità urbane, molto più affollate e con maggiori scambi e quindi i risultati non sono trasferibili automaticamente a queste, ma lo studio fornisce comunque una prova convincente dell' efficacia della vaccinazione dei soggetti in età pediatrica. 


Esiste anche un modello di vaccinazione universale eseguito a livello nazionale che si è prestato a delle interessanti valutazioni. In Giappone dal 1977 al 1987 è stato avviato un programma di vaccinazione di tutti i bambini in età scolare che ha raggiunto un grado di copertura del 50-85% dei bambini di età 3-15 anni. Il programma è stato ufficialmente interrotto nel 1994, quando si è passati alla vaccinazione dei soli senior.
Il gruppo di studiosi che fa capo alla epidemiologa Lone Simonsen  ha riesaminato i dati relativi alla mortalità correlata alle varie età, confrontandola con quella registrata negli USA nello stesso periodo di tempo ( quando ancora non era stata adottata questa politica). L' impatto è stato molto significativo, con una riduzione della mortalità del 36% tra le persone anziane e circa 1000 decessi evitati ogni anno. 


Recentemente l’ Inghilterra ha dato il via ad un ambizioso programma che si ripropone nel giro di pochi anni di estendere la vaccinazione con il LAIV (vaccino vivo nasale) a tutti i bambini sani di età 2-16 anni.
La scorsa stagione si è iniziato con la vaccinazione dei bambini di 2 e 3 anni e, in alcune aree pilota, di tutti i bambini di età 2-16. Su Eurosurveillance è stato pubblicato il primo resoconto relativo alle aree pilota ( corrispondenti a ca il 5% della popolazione inglese), utilizzando come confronto le altre aree. La percentuale di soggetti target vaccinati è stata superiore al 50% e su tutta una serie di parametri ( incidenza di ILI, tamponi positivi, accessi al pronto soccorso, ospedalizzazioni), pur non raggiungendo valori statisticamente significativi, si è ottenuto un miglioramento sensibile sia nei soggetti vaccinati sia nelle altre categorie, ad eccezione dei più anziani ( ma si è trattato di un anno a bassa incidenza di malattie influenzali e il virus prevalente è stato l' H1N1, che tende a risparmiare proprio i più anziani).





In Italia l’ unico laconico riferimento alla vaccinazione dei bambini sani è quello che appare nel documento introduttivo ad ogni stagione influenzale a cura del ministero della salute, in cui si afferma che non si ritengono al momento sufficienti i dati raccolti nei paesi in cui tale programma è stato adottato.



La  stagione che sta giungendo al termine è stata caratterizzata da un drammatico impatto sulle strutture sanitarie, con numerosi casi gravi di influenza e diversi decessi, da attribuire non solo alla circolazione di varianti più aggressive del virus influenzale rispetto alle stagioni precedenti, ma anche ad un livello di copertura vaccinale che è ben lontano dagli obiettivi ritenuti appena sufficienti per le categorie a rischio e con un trend in progressiva discesa nel corso degli ultimi anni. Ma anche  di fronte a tanti eventi tragici, documentati più dalle cronache dei giornali che dagli asettici bollettini ufficiali, non si ritiene di dare risposte diverse da quelle che già si sono ascoltate in tutti questi anni, ribadendo strategie che si sono dimostrate poco efficaci e mantenendole solo per dare la parvenza di fare qualcosa, senza avere il coraggio di cercare altre strade e altre soluzioni. Nei confronti di altre malattie si è capito il ruolo di vaccinare tanti soggetti, molti dei quali mai si ammalerebbero o avrebbero gravi conseguenze, per proteggere quelli più vulnerabili. Si è capito l’ importanza di vaccinare i maschi contro la rosolia o, in tempi più vicini a noi, contro il papillomavirus perché indirettamente si proteggono anche le donne più esposte ai rischi che possono derivare da queste malattie. Per l’ influenza ci si limita a scaricare la responsabilità sulle persone più svantaggiate e ad addebitare a loro la colpa delle eventuali conseguenze negative, finendo per ghettizzare queste categorie di individui. 
Una società matura non dovrebbe dividersi tra soggetti a rischio e non a rischio, ma considerare tutti parte di un unico corpo in cui i più forti sostengono i più deboli e in cui è  possibile realizzare un patto generazionale tra le due età estreme, con i bambini che tendono la mano agli anziani che si prendono cura di loro senza timore di trasmettergli un virus potenzialmente mortale.

















 






































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