domenica 14 dicembre 2014

Influenza e pseudoscienza








Dopo gli allarmi dei giorni scorsi sulle presunte morti da vaccino, di cui abbiamo discusso nel precedente articolo e che, come era prevedibile, hanno lasciato una coda di polemiche anche dopo l’ intervento dell’ EMA sulla assoluta estraneità dei vaccini negli eventi luttuosi che sono stati riportati, tiene banco in questi giorni la discussione sull’ utilità o meno della vaccinazione. A sollevare la questione, neanche a dirlo, le falangi degli  antagonisti ai vaccini con alla loro testa quelle che sono ritenuti le teste pensanti del movimento, mi riferisco ai dottori Serravalle e Gava. Ha iniziato quest’ ultimo a scrivere un articolo, ripreso da diverse riviste del settore e, successivamente, ha riproposto le stesse argomentazioni su Il Fatto Quotidiano in cui gestisce un blog. Prendendo spunto dalle vicende delle morti degli anziani, sferra un attacco nei confronti dei  vaccini influenzali, che considera non solo equivalenti a sostanza venefiche che uccidono più dell’ influenza stessa, ma anche inutili nel contrastare  una malattia che rappresenterebbe solo una delle tante patologie stagionali e, a ben guardare, neppure la più significativa.

Il dott Serravalle, un collega pediatra, parte dalle stesse vicende di cronaca per attaccare la campagna di vaccinazione in corso in questo periodo in Italia. Prende spunto da un allarme lanciato negli Stati Uniti a proposito di un ceppo circolante di influenza che non corrisponde a quello presente nelle formulazioni del vaccino, per criticare l’ inerzia delle autorità italiane nel dare risalto a questa notizia ( è evidente che bisogna essere solerti solo con le notizie che negano l’ efficacia del vaccino). A sostegno del  ragionamento, ci offre un saggio delle sue conoscenze riguardo le caratteristiche epidemiologiche del virus. E’ curioso come questi esponenti di primo piano  della galassia degli antivaccinatori si servano degli argomenti della scienza, perlomeno di quelli che si possono adattare alle loro interpretazioni e ai loro scopi, per attaccare le conoscenze scientifiche frutto di ricerche rigorose e su cui c’ è sostanziale unanimità. La loro formazione professionale fa si che si sentano autorizzati a proporre le loro dotte dissertazioni e a sedersi su entrambi i fronti, quello scientifico e quello antiscientifico, anche se sono totalmente schierati su quest’ ultimo.

Partiamo dal comunicato della CDC  sulla non corrispondenza tra ceppi circolanti e quelli presenti nel vaccino di quest’ anno. Come abbiamo discusso in un altro post, il virus influenzale ha una sua peculiare capacità di adattarsi alla pressione che subisce da parte delle nostre difese immunitarie, modificando la sua fisionomia e ripresentandosi ogni anno con rinnovato vigore, in una perenne lotta del gatto contro il topo. Con l’ allestimento dei vaccini si intende rinforzare le  armi a nostra disposizione anticipando le mosse dell’ avversario, ma non sempre questo riesce in modo efficace. Il motivo è che per produrre i vaccini sono richiesti tempi tecnici molto lunghi e questo dà spesso tempo al virus di subire delle modifiche tali da rendere il vaccino almeno in parte inefficace. E’ successo altre volte in passato e sta succedendo anche quest’ anno. Il vaccino deciso dall’ OMS per l’ emisfero nord contiene 3 ceppi, due di tipo A e uno di tipo B. Il ceppo  A-H3N2 presente nel vaccino si chiama A/Texas/50/2012 mentre negli ultimi bollettini di sorveglianza epidemiologica negli USA risulta che il 58% dei ceppi isolati appartiene al ceppo denominato A/Switzerland/9715293/2013. In gergo tecnico si dice che il virus ha operato un drift. Il ceppo A/Switzerland era stato isolato già a marzo ed è stato inserito nel programma vaccinale per l’ emisfero sud del prossimo anno. Questo potrebbe effettivamente rappresentare un problema, ma non nei termini che prefigura il dott Serravalle, secondo cui l’ allarme della CDC si riferirebbe alla mancata protezione nei confronti del nuovo ceppo. L’ allarme della CDC è rivolto principalmente nei confronti di una stagione in cui sembra essere dominante il virus di tipo H3N2 che,  come è stato in precedenti stagioni caratterizzate da questo sottotipo (2012-2013, 2007-2008, e 2003-2004), tende ad avere un impatto più severo e a provocare un maggior numero di decessi. Come ha chiarito Tom Frieden, il fatto che il vaccino possa conferire minore protezione NON è un motivo per abbandonare questa pratica, che anzi la CDC considera comunque la migliore protezione possibile e, per maggiore sicurezza, invita ad affiancarla al pronto utilizzo dei farmaci antivirali nelle situazioni di maggior rischio. Del resto il vaccino mantiene la sua validità nei confronti degli altri 2 ceppi presenti e potrebbe in parte proteggere anche nei confronti del ceppo emergente. Diversa è la situazione in Italia, ove il presunto allarme delle autorità sanitarie americane andrebbe esteso secondo Serravalle, perché non è per niente detto che si riproponga la stessa situazione ( storicamente si sono registrate spesso differenze significative di qua e di là dell’ atlantico) e, dai primi rilevamenti sul nostro territorio, sembra esserci una maggiore presenza del virus H1N1.


Ma veniamo alla questione proposta dal cardiologo, farmacologo, tossicologo dott Gava sulla marginalità dell’ influenza nel contesto delle malattie virali che circolano in ogni stagione. Per sostenere la sua tesi cita un articolo scientifico, apparso su American Journal of Epidemiology, che  illustra come sia suddivisa la torta dei patogeni che circolano nel corso della stagione invernale. In effetti l’ influenza non occupa la prima posizione, che è saldamente detenuta dai terribili rinovirus e si trova in netta minoranza quando si trova a fronteggiare da sola tutte le possibili altre cause di infezioni respiratorie. Pur rappresentando il 30% dei virus isolati, solo nel 9% dei casi si manifesta in maniera evidente. Il ragionamento, diciamolo subito, appare alquanto debole perché, per lo stesso motivo, il virus ebola dovrebbe sentirsi messo all’ angolo da una miriade di altri virus che stanno circolando, in misura certamente superiore, nelle aree dell’ africa occidentale colpite dalla epidemia. Ma forse i giornali sbagliano a dare risalto a questo virus e dovrebbero, per una sorta di par condicio, lasciare spazio anche a tutti gli altri. Indubbiamente l’ influenza non è ebola, non è così appariscente e clamorosa nei suoi effetti però, se per disavventura ci si imbatte in essa, ci si accorge subito di avere un quadro più severo e debilitante rispetto ai pur rispettabilissimi rinovirus, che lascia spesso strascichi che possono prolungarsi anche per diverse settimane. Io mi ricordo delle influenze che ho avuto, una nel 1977 - era l’ anno del ritorno del virus H1N1 che colpiva soprattutto i soggetti giovani - e un’ altra 7-8 anni fa quando ancora non mi sottoponevo alla vaccinazione (erano i tempi della beata ignoranza). Mi sono ammalato molte altre volte, con quadri di varia natura, che non mi hanno però lasciato una traccia cosi profonda nella memoria. Con questo non voglio dire che altri virus non possano essere responsabili di quadri severi. In letteratura sono documentate patologie molto gravi, anche in soggetti sani, legati agli adenovirus, ai metapneumovirus, agli enterovirus ( pensiamo all’ EV-D68 di cui vi ho parlato in un precedente articolo). Perfino tra i rinovirus  esistono ceppi che possono essere altrettanto severi, in particolare negli asmatici o nelle persone immunocompromesse. Ma si tratta o di eventi sporadici, che riguardano singole persone o cluster di pochi casi oppure epidemie che interessano aree circoscritte in tempi determinati. Il virus influenzale ha invece la caratteristica di determinare ogni anno e a livello globale epidemie di grandi proporzioni, che coinvolgono il 5-15% della popolazione nei periodi interpandemici e fino al 30% durante i grandi eventi pandemici, con ben documentate ricadute sulla salute pubblica in termini di accessi ai presidi medici, di ospedalizzazioni e di decessi. L’ unico virus che arriva ad  avere un impatto che si avvicina a quello dell’ influenza è il virus respiratorio sinciziale (RSV), responsabile di milioni di casi e migliaia di decessi, in prevalenza tra i bambini più piccoli ma in numero non trascurabile anche tra le file degli anziani
Per capire quale sia l’ impatto dell’ influenza è interessante un documento di cui sono venuto a conoscenza grazie a Ulrike Schmidleithner, autrice di un blog prezioso e ricco di informazioni.
Si tratta di un articolo pubblicato sul  Weekly Epidemiological Journal del 1970 che dimostra come eccezionalmente nell’ inverno 1966/67 a Glasgow, in Scozia, non abbia circolato il virus influenzale, mentre era presente l’ RSV. Come si vede dalla figura, in quell' anno non si è verificato il solito picco di polmoniti tra gli anziani, mentre è  presente quello tra i bambini più piccoli. Le cose sono andate in modo decisamente diverso nell’ inverno successivo, in cui si è ripresentato il virus influenzale. 

Il fatto è che ogni inverno, in misura più o meno marcata, si registra un aumento consistente della mortalità, che coincide solitamente con i mesi più freddi dell’ anno e a carico soprattutto delle persone fragili. Ma, guarda caso, il picco di mortalità accompagna sempre o segue di poco quello delle ILI e quest’ ultimo coincide con la massima circolazione del virus influenzale, che raggiunge il 40-50% degli isolamenti al suo apice. Nell’ anno della pandemia il virus H1N1, al pari di un’ onda anomala, ha colpito il nostro paese in netto anticipo rispetto al periodo in cui classicamente si manifestano i virus stagionali.
Il grafico fa vedere come  nei successivi mesi di gennaio e febbraio la curva delle ILI appaia del tutto appiattita, senza il tipico rigonfiamento. Dove erano finiti tutti gli altri virus che dovrebbero contribuire in maniera preponderante alla sua formazione? La verità è che ogni categoria di virus ha il suo periodo di prevalenza e questo si sovrappone solo parzialmente con quello di altri virus. E’ così che agli inizi della stagione dominano i virus parainfluenzali e i rinovirus, a dicembre il virus RSV mentre a gennaio-febbraio l’ influenza è regina quasi incontrastata. Proprio in questi mesi si registra l’ eccesso di mortalità, a cui certamente contribuiscono anche altri agenti infettivi, come pure le basse temperature e l’ inquinamento atmosferico, ma questi elementi, salvo rare eccezioni,  non spiegano le differenze così consistenti tra un anno e l’ altro, che possono arrivare a diverse decine di migliaia di morti. L’ osservazione epidemiologica ha invece messo in luce che  gli anni in cui la mortalità raggiunge livelli più elevati coincidono con la presenza di determinati ceppi influenzali, più spesso del tipo H3N2 anziché H1N1 o B, in particolare in occasione di cambiamenti significativi delle caratteristiche genetiche, come è successo ad esempio negli Stati Uniti e in Inghilterra con il ceppo Fujian nel 2003-04. Non risulta che in quelle stagioni vi sia stata un’ anomala circolazione di rinovirus, adenovirus, etc…
Il dott Gava ironizza sulla cifra di 8000 morti che verrebbero attribuiti annualmente all’ influenza, una quota che sarebbe troppo elevata se messa in rapporto con il dato europeo. Purtroppo, in Italia mancano dati di sorveglianza aggiornati e gli unici disponibili si riferiscono ad uno studio un po’ datato che ha analizzato l’ impatto dell’ influenza nelle stagioni dal 1969 al 2001. Dalle analisi si ricava un dato medio di ca 9000 decessi, con forti oscillazioni che vanno dai 57000 decessi del 1969 ( anno della pandemia di Hong Kong) ad anni in cui non si è verificato nessun eccesso. Le cifre di questi ultimi anni possono anche essere diverse, ma non è possibile negare l' impatto dell' influenza sulla salute pubblica e sulla mortalità.

In conclusione, va riconosciuta la grande versatilità del virus influenzale, che grazie alla sua ampia diffusione ( quei 30% di soggetti asintomatici a cui il dott Gava dimostra di non dare importanza), alla sua intrinseca capacità di adattamento e alla possibilità di attingere a un immenso serbatoio presente in natura, con tante specie animali che ospitano un numero elevato di varianti, propone una costante sfida alla nostra specie che non può essere banalizzata con  affermazioni basate su conoscenze superficiali e su atteggiamenti di pregiudizio.


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